tesi finale di una nostra stagista del tirocinio presso la nostra azienda
tesi finale di una nostra stagista del tirocinio presso la nostra azienda
CHE COS’E’ IL TIROCINIO E COME POTERLO FARE NELLA NOSTRA AZIENDA
Il tirocinio (o stage) è un periodo di formazione che permette di acquisire competenze professionali attraverso un’esperienza pratica in azienda.
Un tirocinio può essere un’ottima occasione per fare esperienza professionale in azienda, sia dopo che durante gli studi. Inoltre può servire per sondare il terreno e valutare la propria inclinazione verso un’attività lavorativa.
Può essere utile anche per reinserirsi nel mondo del lavoro dopo un periodo di sospensione dell’attività lavorativa e per arricchire il proprio curriculum vitae.
Ecco i principali motivi per cui si dovrebbe scegliere di fare uno stage in azienda:
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- Per fare esperienza
Il tirocinio permette di passare da un piano teorico a uno più pratico. Gli studi universitari, purtroppo, non sempre forniscono un percorso di orientamento al lavoro e gli stage curriculari non sono sempre obbligatori.
2. Verificare se può essere il lavoro adatto
Il tirocinio è un’opportunità per verificare se un settore lavorativo e determinate mansioni possono corrispondere ai propri interessi.
3. Crescere
Uno stage è per definizione un percorso di crescita e formazione. Può sicuramente essere uno stimolo per acquisire nuove competenze per la propria carriera e per crescere, sia professionalmente che sul piano personale.
4. Assumere consapevolezza e fiducia in se stessi
L’acquisizione graduale di esperienza consente di guadagnare fiducia in se stessi e consapevolezza professionale, mettendo a fuoco i punti di forza e i limiti.
5. Iniziare a confrontarsi con il guadagno di denaro
Il tirocinio aiuta innanzitutto a comprendere il valore del denaro e dell’indipendenza economica. Il rimborso spese aiuta lo stagista a entrare nell’ottica di guadagnare un compenso per il lavoro svolto e di autofinanziare qualche piccola spesa.
Il valore di un tirocinio, comunque, non si limita all’indennità di partecipazione, ma consiste anche nell’esperienza pratica che esso fornisce.
I soggetti coinvolti nel tirocinio sono tre: il tirocinante, l’azienda e l’ente promotore. Tutti sono chiamati a sottoscrivere un progetto formativo, che sancisce l’attivazione dello stage.
L’ente promotore, obbligatorio per normativa, costituisce un punto di riferimento per azienda e stagista e si occupa di supervisionare il processo di formazione, garantendone la buona riuscita.
Ecco nel dettaglio i compiti di un ente promotore di tirocini:
- stipulare una convenzione con l’azienda
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- individuare un tutor che possa offrire supporto a tirocinante e azienda
- verificare che l’azienda nomini un tutor interno, che affianchi lo stagista durante la sua formazione
- redigere un progetto formativo, contenente tutti i dettagli del percorso formativo
- fornire al tirocinante la copertura assicurativa per la responsabilità civile e, se previsto dagli accordi con il soggetto ospitante, contro gli infortuni
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L’ideale per il tirocinante sarebbe di inserirsi nel contesto di riferimento dei propri studi per cominciare a fare esperienza e acquisire una formazione professionale nel proprio ambito di interesse.
Un tirocinio nella nostra azienda si può svolgere durante gli studi scolastici o universitari (stage in itinere o curriculare), oppure dopo aver conseguito un titolo di studio (stage post formazione o extracurriculare).
Non sono previsti limiti di età entro cui un tirocinante può svolgere uno stage.
La durata di un tirocinio viene stabilita a seconda della normativa regionale di riferimento. In generale, la durata minima è di 2 mesi, mentre la durata massima può essere di 6 o 12 mesi a seconda dei casi specifici.
A seconda delle regioni, i tirocini per le categorie protette possono durare anche fino a 24 mesi.
I tirocini si differenziano essenzialmente in due tipologie:
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- Tirocinio curriculare
Si tratta di un periodo di formazione in azienda rivolto agli studenti regolarmente iscritti a un corso di studi (presso un’università o una scuola secondaria di secondo grado). A volte il tirocinio curriculare può essere previsto obbligatoriamente per il conseguimento del titolo di studi. Comporta il conseguimento di crediti formativi per portare a termine il percorso didattico ma non prevede un’indennità obbligatoria.
2. Tirocinio extracurriculare
È un periodo di formazione pratica in azienda che non fa parte di un percorso di studi, generalmente si colloca nella fase di passaggio dall’ambito scolastico a quello lavorativo. È regolamentato da un normativa regionale e prevede che al tirocinante venga corrisposta un’indennità minima obbligatoria.
In alcune regioni possono esserci altre tipologie di tirocinio, differenziate in base alla data di conseguimento del titolo di studi (formativo e di orientamento o di inserimento o reinserimento lavorativo).
Pur non essendo un rapporto di lavoro, il tirocinio prevede un contratto costituito da una convenzione e da un progetto formativo.
La convenzione, stipulata dall’azienda ospitante con l’ente promotore, contiene i dati legali dei due soggetti, e il riferimento agli aspetti normativi che regolano il contratto di stage (su base regionale).
Il progetto formativo, invece, contiene i dettagli specifici relativi al percorso formativo del tirocinante: data di inizio e fine, durata, sede di svolgimento, indennità prevista, mansioni e attività, orari, obiettivi, ecc.
Poiché il tirocinio è un percorso di formazione e non costituisce un rapporto di lavoro, non prevede per lo stagista gli stessi diritti riservati al lavoratore, ma gli offre una maggiore flessibilità nella gestione della collaborazione.
Ad esempio lo stage non prevede il versamento di contributi per la pensione, né la maturazione di permessi e ferie (che in genere però vengono comunque riconosciuti al tirocinante dall’azienda).
È prevista la possibilità di sospendere lo stage in caso di malattia o per maternità e lo stagista può scegliere di interrompere lo stage in qualsiasi momento.
Il tirocinante è tutelato contro gli infortuni sul lavoro, in quanto l’ente promotore è tenuto a fornirgli una polizza INAIL e una polizza RC stipulate presso una società assicurativa.
La DID online (Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro) è un documento necessario per dichiarare la propria disoccupazione e disponibilità a svolgere un’attività lavorativa.
Poiché permette di acquisire formalmente lo stato di disoccupazione, consente di accedere a eventuali indennità o percorsi di politica attiva finalizzati al reinserimento nel mondo lavorativo, come ad esempio il tirocinio.
Chi percepisce l’indennità di disoccupazione Naspi o altre prestazioni di sostegno al reddito non è tenuto a inserire la DID su ANPAL, in quanto la richiesta all’Inps per ottenere l’indennità equivale già a una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro.
Nella maggior parte dei casi, lo stage rappresenta un primo accesso al mondo del lavoro. Poiché si tratta di un’esperienza nuova e molto importante, è utile prepararsi ad affrontarla in modo corretto.
Ecco qualche consiglio:
Dimostrare la voglia di imparare
Il tirocinio è un percorso di formazione, quindi il requisito più importante è la predisposizione all’apprendimento. Il primo consiglio è di sfoderare la curiosità e fare tante domande al tutor aziendale per entrare nel vivo dell’attività, sciogliere ogni dubbio e dimostrare il proprio interesse proattivo.
2. Mostrare spirito di osservazione
Per imparare il più possibile, è sicuramente utile osservare i colleghi, i processi aziendali e tutti i dettagli che possono aiutare a integrarsi.
3. Imparare dagli errori
L’errore fa naturalmente parte del processo di apprendimento e consente di guadagnare consapevolezza e autonomia nelle mansioni assegnate.
L’importante è chiedere sempre consigli al tutor e ai colleghi più esperti, oltre che assumersi le proprie responsabilità.
4. Socializzare
In genere un’attività di stage impegna una buona parte delle ore della giornata. Si rivela quindi molto importante sentirsi a proprio agio in azienda e socializzare per sentirsi accolti e lavorare meglio. La pausa pranzo e gli eventi aziendali possono essere un’ottima occasione per approfondire la conoscenza con i colleghi.
5. Essere professionali
Ordine, rispetto, puntualità, disciplina: ecco alcuni atteggiamenti che in un ambiente di lavoro si rivelano vincenti. L’ideale è cercare di essere sempre professionali e adatti al contesto di inserimento, senza per forza rinunciare alla propria personalità.
Un buon consiglio può essere di informarsi su possibili dress code aziendali.
6. Essere umili
Il tirocinio in genere prevede una retribuzione inferiore rispetto a uno stipendio, tuttavia fornisce un’occasione per imparare e acquisire competenze, mettere a fuoco le proprie aspirazioni professionali, ma anche i punti deboli e punti di forza.
È sempre consigliabile evitare le lamentele e accettare di svolgere mansioni meno rilevanti prima di assumere compiti di responsabilità (naturalmente purché le mansioni assegnate siano compatibili con gli obiettivi formativi previsti dal a e definiti nel progetto).
7. Ricordarsi del ruolo dell’Ente Promotore
Il tirocinante deve ricordare sempre che, oltre al proprio tutor aziendale, potrà sempre fare riferimento al tutor assegnatogli dell’Ente Promotore, che potrà contattare in caso di dubbi o irregolarità riscontrate durante il percorso.
TITOLO DELLA TESI
Turismo e Spettacolo: dalla teoria ai giorni nostri
Il fenomeno del turismo costituisce uno dei fattori economici più rilevanti
dell’attuale società e rappresenta un notevole business globale. Esso affonda
le sue radici profonde nell’immaginario, nell’immagine del sogno e nel vasto
territorio dei desideri. Il turista, per definizione, è l’individuo che soggiorna in
un luogo diverso da quello in cui risiede abitualmente per non più di un anno
consecutivo a scopo ricreativo, d’affari o altro. E’ un fenomeno separato dalla
vita quotidiana in quanto appartiene al tempo libero. In
ambito antropologico, il fenomeno turistico può essere inteso come un
processo di transazione, e come una struttura di esperienza. Entrambi i casi
riguardano appunto il tempo libero e la necessità, e il volere del turista di
ricercare una dimensione di relax. Il turista diventa turista, quando, una volta
lasciata la propria casa, entra in contatto con coloro che forniscono i servizi
ai visitatori (dai tour operator alle infrastrutture nelle località di arrivo).
Avviene, cioè, una transizione fra ospitanti (host) e ospitati (guest). In
antropologia il turismo è un incontro che avviene fra uomini, gruppi sociali,
società e culture diverse, fra chi ospita e chi è ospitato . In
base a una serie di caratteristiche (il luogo di destinazione; la durata, il
periodo e la modalità del viaggio; le caratteristiche anagrafiche o sociali del
turista; il tipo di soggiorno; le finalità) si può definire il tipo di turismo.
Alcuni fra i più noti sono i seguenti.
Turismo etnico. Si presenta al pubblico come l’esposizione di “costumi strani
ed esotici” quasi a volere sottolineare l’identità della destinazione in
questione. Include la visita ad abitazioni e villaggi, l’assistere a spettacoli di
danze e cerimonie, l’acquisto di merci e curiosità “primitive” .
Turismo “folkloristico”. E’ strettamente legato alla cultura di una specifica
regione o paese, in particolare in relazione al modello di vita, alla storia,
all’arte, all’architettura, alla dieta o alla religione. Vuole rappresentare uno
stile di vita legato a case in vecchio stile, prodotti casalinghi, strumenti
agricoli, artigianato manuale, feste folkloristiche, feste in costume, rodei.
Turismo storico. Prende vita all’interno dei circuiti museali e religiosi che
esaltano il passato (da Roma, all’Egitto, agli Inca). Le attività principali
includono visite guidate a monumenti, particolari zone dei centri storici,
castelli. Tende ad attrarre un tipo di pubblico ben specifico e acculturato.
Turismo ambientale. Spesso coniugato con il turismo etnico; è un turismo
geografico mosso dalla ricerca di paesaggi e ambienti diversi dal quotidiano.
Le maggiori attività comprendono visite a industrie locali, piantagioni
esotiche, corsi di fiumi, e tutto ciò che permette una relazione uomo-natura. Spesso, questo tipo di turismo è stato incentivato dal
cosiddetto “cineturismo”, fenomeno di marketing finalizzato alla promozione del territorio e della cultura locale da parte delle istituzioni che sfruttano il
risvolto della propria immagine. Il cineturista è colui che compra un pacchetto
turistico a seguito della visione di un prodotto audiovisivo che ha suscitato in
lui la scelta e il desiderio di visitare i luoghi visti durante l’atto della fruizione.
Turismo d’affari. Praticato da chi si sposta dal luogo abituale di residenza per
esercitare la propria attività professionale, traendo dal luogo di soggiorno un
reddito maggiore di quello che spende con i suoi consumi. Esso nasce
dall’intensificarsi, nella società post-industriale, dei rapporti personali tra
operatori economici, dalla necessità di viaggi, soggiorni e incontri nell’ambito
delle attività professionali.
Turismo sportivo. E’ sicuramente un settore del turismo in forte crescita,
tant’è che rappresenta per moltissime città e paesi una notevole occasione di
sviluppo locale. Le attività che rientrano in questo fenomeno sono numerose,
fra queste, il turismo sportivo podistico, il turismo sportivo sciistico, il turismo
sportivo nautico, il cicloturismo e la mountain bike, gli sport aerei, la caccia e
la pesca, il golf, le arrampicate, le ferrate ecc .
Turismo culturale. Movimento di persone generato da interessi culturali e
dalla volontà di conoscere le risorse culturali che caratterizzano un luogo
differente da quello in cui si risiede. Secondo la definizione della World
tourism organization (WTO), questo turismo può produrre diverse tipologie di
spostamenti: dalle visite a monumenti e siti archeologici alla partecipazione a
festival, concerti, mostre o eventi culturali di altro genere; dai viaggi-studio ai
pellegrinaggi religiosi o ancora alla partecipazione a manifestazioni legate
all’enogastronomia. Recentemente, il turismo culturale ha agevolato
l’affermarsi e la nascita di nuove località turistiche, in contesti postindustriali,
(sedi di festival di performances, di eventi, o di mostre o musei d’arte
contemporanea), intercettando i cambiamenti della domanda di consumo di
prodotti e luoghi in questione. “Il turismo culturale è anche considerato come
il più sostenibile, in grado di promuovere tolleranza, rispetto e conoscenza tra
culture differenti”.
Turismo ricreativo (chiamato anche turismo leisure o loisir). E’ il turismo più
noto (quello delle quattro “s”: sand, sea, sun and sex) in genere correlato al
relax o alla natura. Le attività prevalenti hanno come scopo principale la
salute, il benessere, lo sport, la balneazione. Fan dunque parte del turismo
ricreativo, il turismo balneare, il turismo montano, il turismo lacuale.
Diverse sono le motivazioni che spingono le persone a scegliere una
destinazione turistica, ma ciascuna risiede nell’idea che ci si fa di una
determinata destinazione. Questo discorso si ricollegherà come vedremo più
avanti nell’attrazione turistica intesa come immagine. Ogni individuo presenta
differenti motivazioni per recarsi in un luogo, legate alla propria personalità,
alla propria psiche, al proprio bagaglio culturale, all’esistenza di un bisogno
non appagato. Secondo Krippendorf (1987) il viaggio del turista può essere
intrapreso come recupero e rigenerazione, integrazione sociale, evasione e
fuga, ma essenzialmente è motivato dall’andare via da qualcosa (away from)
piuttosto che “andare verso” (towards). Esistono due tipologie di fattori che
inducono nella scelta della motivazione: i fattori “push” e i fattori “pull”. I primi
determinano la voglia di viaggiare dell’individuo, i secondi riguardano dove
egli vuole andare. Tra i fattori push secondo Crompton e Dann, si identificano
alcuni motivi come la fuga da ambienti quotidiani, l’esplorazione di se stessi,
il relax, il prestigio, la ricerca di nuove relazioni e l’interazione sociale. Mentre
tra i fattori pull, la novità e la cultura. Il potenziale turista potrebbe essere
interessato a tutti e due tipi di fattori, e quindi a più motivazioni. In entrambi i
casi i fattori sono legati alle emozioni del turista.
Studiando il turismo, lo spazio e i luoghi vengono sempre più riconosciuti
come costruzioni socio-culturali, più che semplicemente come ambienti
d’accoglienza o destinazioni. All’interno di quella che si può definire la
dimensione “virtuale” del turismo, un ruolo fondamentale è svolto
dall’elaborazione degli immaginari legati al senso di alterità che alimenta la
performance turistica e la “messa in scena” che coinvolge sia i turisti, sia gli
abitanti delle aree di destinazione. Ecco qui infatti un primo accostamento fra
Turismo e Arte, e nello specifico fra Turismo e Teatro. Come scrive J.
Baereneholdt trattando della metafora del teatro applicata alla pratica
turistica in cui sosteneva che il turismo possiede alcune analogie specifiche
alla performance drammaturgica, perché, come nel teatro, i tempi del turismo
sono caratterizzati dalla propria funzione simbolica. Questi luoghi e spazi
vengono trasformati in “paesaggi drammaturgici” e permettono queste
performance drammaturgiche .
Come nel turismo, il marketing opera secondo un piano di strategia chiamato
mix proporzionale per quanto riguarda la promozione del suo prodotto, così il
teatro deve adottare sistemi di marketing per promuovere il suo: lo
spettacolo. Alcuni fra i principali strumenti d’intervento sul marketing teatrale
sono così sintetizzabili:
conoscenza e analisi del pubblico (indagine di mercato);
chiarezza sull’immagine di marca (o brand);
collaborazione di esperti di marketing alla definizione dei programmi
artistici;
politica dei prezzi;
dialogo diretto/costante con la clientela;
strategie di fidelizzazione (feedback);
monitoraggio dei risultati.
Di particolare importanza, com’è il turista, se si parla di vendere una
destinazione turistica, è il ruolo dello spettatore. Da quanto emerge da
un’analisi, le fasi da tenere conto per ottenere un target di spettatori si
possono distinguere così:
attenzione costante per lo spettatore, messo al centro del teatro;
la ricerca di un pubblico non passivo, ma partecipe;
la volontà di formare uno spettatore critico e consapevole, non solo dal
punto di vista teatrale e culturale, ma anche sociale e civile;
la creazione di strategie e modalità organizzative atte ad allargare e
differenziare il pubblico, nonché a coinvolgerlo attivamente nella vita del
teatro;
l’idea che questo allargamento e coinvolgimento del pubblico debba
andare di pari passo con la qualità e la ricerca artistica;
la concezione del teatro non solo come centro di produzione e
programmazione di spettacoli, ma come epicentro di una più ampia
attività culturale;
l’idea del teatro come luogo di festa e di incontro (fra spettatori e
spettatori, spettatori e organizzatori, spettatori e artisti);
la volontà di familiarizzare il teatro, di renderlo ”casa” per gli spettatori.
Lo spettacolo è un prodotto delle aziende o delle imprese, che si può vedere
come un bene, o un servizio. Esso è un’attività, dunque non esiste come
bene tangibile (come può essere l’edificio teatrale che lo ospita) e avrà valore
non valutabile immediatamente. Lo spettacolo dal vivo sarà ogni volta unico,
una realizzazione che vive nel momento stesso in cui si attua e il prodotto è
l’esperienza stessa che è frutto di una negoziazione tra produttori, esecutori
e spettatori. Una delle figure fondamentali per la costruzione e la fruizione del
prodotto è l’organizzatore, il ‘’manager’’ teatrale. che deve avere competenze
artistiche e economico-gestionali; deve comunicare tra i settori e coordinarli;
elaborare strategie che permettano di ottenere i migliori risultati.
Il termine per indicare il metodo utilizzato come strumento teorico e pratico
per l’organizzatore è “project management”, sul quale mi soffermerò più
precisamente nell’ultimo capitolo, dedicato al progetto.
Cos’è uno spettacolo? E’ una ‘’rappresentazione di opere teatrali, liriche,
cinematografiche, d’arte varia; in senso ampio, qualsiasi esibizione artistica
che si svolge davanti a un pubblico di spettatori appositamente convenuto:
uno spettacolo di danze folcloristiche, di varietà, di rivista, di burattini, di
giochi di prestigio, di balletti, televisivo, pubblico‘’.
La semiotica ha affermato che ogni comportamento umano o animale ha in
sé un margine di esibizione più o meno ampio, e quindi di spettacolarità. Non
a caso, sinonimi come etnodramma, mitodramma e sociodramma primitivo,
sono stati attribuiti dall’antropologo francese A. Schaeffner, alle prime “forme
di teatro” nelle comunità primitive. A confermarne
l’esistenza sono le tracce di pitture e incisioni rupestri di ambigue figurazioni
di uomini-animali, che erano sfondo di una “pantomima sacrale”. Il loro scopo
era quello di “rappresentare” fatti inspiegabili e intesi come di potenza
sovrannaturale. La morte di un animale per esempio, veniva disegnata per
evitare che lo spirito della vittima si ritorcesse contro il cacciatore. Quindi si
può già parlare di un’autorappresentazione di un ruolo specifico e
dell’assunzione di un costume-maschera attraverso la pittura corporale, la
mimica. Via via le rappresentazioni di scene di caccia si sono arricchite
sempre di più attualizzando le situazioni mitiche del periodo storico in
questione. Il teatro ha sempre posseduto un alto quoziente di socialità sin
dalle prime manifestazione dell’essere umano .
In ogni comunità, i comportamenti rituali hanno il principale scopo di essere
osservati, di apparire “spettacolari”. Si può dire che ogni rito è in qualche
modo uno spettacolo, ma nel rito chi si esibisce e chi osserva non sono
distinti, lo spettacolo, invece, è inteso come manifestazione nel quale attori e
spettatori sono istituzionalmente divisi, anche se i confini appaiono
comunque labili. Riportando un esempio del tutto familiare, la stessa mensa
può essere a sua volta un rito e uno spettacolo. La continuità tra rito religioso
e spettacolo vero e proprio si mantiene per molto tempo. Nell’antica Grecia
ogni pratica musicale e poetica doveva considerarsi in qualche modo uno
spettacolo perché presupponeva una pubblica esibizione. Ed è proprio in
Grecia che lo spettacolo si istituzionalizza nel tempo e nello spazio sfociando
inizialmente nelle rappresentazioni di festa, mantenendo così con il rito un
rapporto privilegiato.
“Il rito, nelle forme spettacolari che assume, si compone di vari elementi che
si trovano, ben riconoscibili, nelle diverse feste da cui nasce il teatro. Tali
elementi sono: la processione, il canto lirico in coro, la narrazione, la danza e
l’azione scenica vera e propria; anche la musica vi ha la sua parte, o
integrativa o autonoma. Non in ogni caso questi elementi si trovano tutti e
con eguale sequenza, nella composizione rito-spettacolo. Ma di regola sì”
. I rapporti fra processione e dramma per esempio
sono molteplici. Talvolta la prima introduce direttamente all’azione scenica o
addirittura le due possono coesistere dando vita a delle processioni
drammatiche o cortei figurati, come nel caso del Carnevale e di alcune feste
della religione cattolica. Il canto lirico è un altro elemento fondamentale del
rito. Anche la narrazione, e in special modo i motivi fiabeschi deriverebbero
dai riti: iniziatici, nuziali, protettici, ecc. I riti sono anche indissolubilmente
legati ai miti: in modo particolare è stato osservato che nello svolgersi dei riti
entra come parte necessaria la narrazione di episodi sacri come le gesta
della divinità adorata o la creazione del mondo. L’elemento della danza è da
sempre andato di pari passo con quello dei riti: basti pensare alle celebri
“danze delle piogge”. Esistevano appunto delle danze che, si pensava,
fossero in grado di cambiare il clima atmosferico, di favorire un raccolto, una
gravidanza, danze di corteggiamento, tarantelle, ecc. Talvolta, come detto
prima, si univano al canto lirico, o addirittura alle processioni, a cui si univa
anche la musica, col suono di tamburi, pifferi, trombe e altri strumenti
utilizzati per scandire il ritmo. La musica accompagnava il canto lirico, la
danza, la narrazione e spesso anche l’azione scenica: il dramma. Il dramma
è un’azione eseguita da più personaggi, cioè da ‘’attori che rappresentano
una persona diversa dalla propria’’.
4.2. Punti salienti della storia del teatro
E’ importante iniziare a conoscere le diverse forme di rappresentazione
rituale che offriva il “teatro” dei popoli primitivi, alle quali è possibile far
risalire l’origine dell’essenza del teatro (Molinari, 1998).
Antropologicamente, si analizzano non solo gli aspetti espressivi, culturali
e linguistici del fenomeno, ma soprattutto quelli sociali e organizzativi per
capirne la collocazione all’interno di un gruppo umano. Per esempio,
presso i Nahuatl (un popolo estinto dell’America Centrale), il ritorno
all’estate veniva celebrato con una festa che inneggiava al rinnovarsi
della fertilità. E questo accadeva anche per alcuni popoli cacciatori. La
periodicità delle feste rituali poteva essere legata anche a ricorsi non
riguardanti la natura o solo per puro intrattenimento. Era così per i pigmei
Bamubuti dell’alta valle dell’Ituri, i quali vedevano nel gioco rituale uno
strumento quotidiano. Anche gli eventi della vita collettiva quali la nascita
e la morte per molti popoli erano avvenimenti che interessavano tutto il
gruppo sociale e sfociavano in manifestazioni collettive, che avevano
spesso un forte carattere spettacolare. Un esempio particolarmente
interessante erano le battaglie simulate, in cui i due opposti gruppi si
accusavano direttamente o indirettamente di aver causato la morte dello
scomparso, attribuendosi un’assunzione di responsabilità collettiva nei
confronti dell’individuo. Proprio in questo contesto troviamo le prime
testimonianze di utilizzo delle maschere. I riti kwakiult della Columbia
britannica venivano allestite nella casa del capo gruppo, il quale da solo
interpretava e personificava diversi spiriti, cambiando ripetutamente
maschere. L’interprete autorizzato era in questo caso uno sciamano, che
spesso recitava anche in trance: in certi casi ci si trovava davanti ad uno
sdoppiamento della personalità, che è il limite estremo tra attore e
personaggio (Molinari, 1998). La maschera era intesa inizialmente come
incarnazione dello spirito.
Il teatro nasce dunque in connessione con la religione e con il rito,
sebbene la visione comune della sua origine si colloca nel IV-V secolo ad
Atene, in Grecia, con il teatro classico greco. Originariamente le prime
forme di rappresentazione teatrale prevedono un coro che canta in onore
di Dioniso, da cui si separa poi una voce, quella del corifeo, che alterna il
suo canto a quello del coro4
, finendo con l’assumere un ruolo
da personaggio autonomo. Secondo Aristotele, infatti, il teatro sarebbe
nato dagli exarchontes, ovvero i narratori del ditirambo
All’inizio del VI secolo compare così sulla scena la nuova figura dell’attore
(prima uno solo, protagonista, che solitamente era anche l’autore), cui fa
seguito l’introduzione di un secondo (deuteragonista) e, con Sofocle ed
Euripide, di un terzo, tritagorista: sempre tutti maschi che interpretano
anche i ruoli femminili, utilizzando maschere e costumi. Nel teatro greco
classico l’attore recita declamando in versi e non c’è corrispondenza fra
attore e personaggio, perché nei diversi episodi (così si chiamavano le
parti recitate che si alternavano alle parti corali chiamate stasimi), l’attore
può dar voce a personaggi diversi cambiando maschera. Si giunge così alla nascita della tragedia Greca, una delle più
elevate forme d’arte teatrale di tutti i tempi. La tragedia tratta temi
derivanti dai miti, racconti e leggende di dei ed eroi, con riferimenti alla
politica e alla società dell’epoca. Nella maggior parte delle tragedie la
vicenda si svolge in un luogo fisso, in un lasso di 24 ore, cioè senza salti
o interruzioni temporali; e con uno sviluppo dell’azione molto serrato e
privo di deviazioni; è questa la regola delle tre unità di spazio, tempo e
azione individuata da Aristotele e che costituisce l’essenza rituale della
tragedia. Gli spettacoli tragici vengono allestiti durante le feste in onore di
Dioniso. Ciascun autore presenta quattro testi differenti, tre tragedie e un
dramma satiresco che aveva carattere grottesco Le rappresentazioni
sono organizzate dallo stato ateniese, che provvede alle spese di
allestimento. Le rappresentazioni teatrali, in quanto rito sacro, sono
aperte a tutte le fasce sociali: ricchi, servi, uomini, donne.
Il teatro romano-latino riprende i modi e i contenuti del teatro greco. A
Roma il teatro non rappresenta i caratteri della società romana, ma è più
che altro un fenomeno di importazione adatto a una élite più raffinata e
sensibile al fascino della civiltà greca. Qui è la commedia ad avere più
successo, soprattutto grazie ad autori come Plauto e Terenzio. La
commedia si contrappone alla tragedia per il carattere comico delle
situazioni e dei dialoghi e per la presenza di un lieto fine. I protagonisti
non sono più uomini politici o intellettuali, ma giovani scapestrati, servi
astuti, prostitute dal cuore tenero, vecchi avari e così via. I temi principali
sono tratti dalla vita quotidiana e dalla realtà concreta. A seguito della
dissoluzione dell’Impero Romano e della condanna della Chiesa che
considera pericoloso lo spettacolo perché l’uomo-attore, fatto a immagine
e somiglianza di Dio, si offre spudoratamente allo sguardo dello
spettatore. In tal senso, il mestiere dell’attore è considerato antitetico alle
regole dottrinali religiose, in quanto l’attore è colui che mente e ammalia
lo spettatore fingendo d’essere un’altra persona.
Per questi fattori, dunque, dalla caduta dell’impero romano, per circa sei
secoli e fino all’inizio del secondo millennio, si assiste alla scomparsa
pressoché totale di ogni forma di organizzata di attività teatrale, mentre
sopravvivono forme di spettacolarità diffusa, spontanea e incontrollata.
Con il medioevo, assistiamo ad un abbandono delle rappresentazioni
negli edifici teatrali e ci spostiamo verso gli spettacoli di strada, costituiti
per la maggior parte da esibizioni di mimi, giocolieri, musici, danzatori.
Nel teatro medievale, la tragedia classica scompare e viene sostituita dai
Drammi sacri (o sacre rappresentazioni), nello specifico i Misteri, che
interpretano lo spirito religioso dei tempi, rappresentando episodi della
Bibbia o della vita dei santi. Questi hanno uno scopo didattico-religioso,
anche se quasi in contraddizione con le continue critiche della Chiesa: la
stessa Chiesa che da sempre avversa il teatro e le sue peculiarità; e che
pure strumentalizza i drammi sacri per i propri scopi devozionali e
propagandistici. Intanto assistiamo al lento, progressivo passaggio
dall’uso del latino, al volgare, o alle diverse parlate delle varie regioni
europee. I canoni spazio-temporali delle rappresentazioni variano di
lunghezza e i luoghi più vari. Inizia a comparire un minimo di arredo
scenico o una scenografia anche solo disegnata. Il teatro medievale
diventa un teatro di piazza, e talvolta propone rappresentazioni in
movimento su carri, distribuiti in determinati percorsi .
La tradizione comica popolare riesce a sopravvivere, anche se in forme
orali e non codificate: fondamentale era la figura del giullare, che narrava
delle storie interpretando più personaggi, giocando sulle diverse tonalità
della voce. Spesso il mestiere del giullare si affiancava a quello del
banditore. I giullari si esibivano nelle piazze, senza alcun apparato
scenico. Gli interpreti non dovevano essere necessariamente colti, ma
aver un buon utilizzo della propria lingua madre.
Con l’umanesimo, nel 400, si va riscoprendo la cultura classica e l’intero
patrimonio culturale greco e latino viene recuperato: tragedia e commedia
vengono ‘’riscoperte’’. I luoghi di teatro sono le corti, che colgono
l’occasione di una ricorrenza o di eventi come feste e matrimoni, per
inserire uno spettacolo teatrale, creando un vero e proprio teatro dentro la
festa, in cui spettatori e invitati coincidono.
E’ inevitabile la collocazione delle varie forme di teatro su piani paralleli:
quello nobiliare e quello popolare. Il teatro rinascimentale si riferisce ad
una èlite, dando inizio ad un processo di privatizzazione del teatro: quello
allestito nel Palazzo del Principe presenta commedie e tragedie di stampo
classico, mentre nelle piazze il popolo assiste alla trasformazione delle
sacre rappresentazioni in farse e pantomime comiche. Così, a fianco di
commedie latine e italiane troviamo la spettacolarità mimico-gestuale di
buffoni, giocolieri e danzatori, che agiscono in gruppo. Nasce con l’artista
Nicolò Campani, la commedia rusticana o villanesca (che si sviluppa in
particolare a Siena) che si contrappone alla satira anti villanesca. Il
contrasto economico tra città e campagna, mette in evidenza il
personaggio del villano, presentato come grossolano e scaltro. A Firenze,
la spettacolarità del primo trentennio del ‘500 appare innestata nelle
consuetudini municipalistiche e civili di cui la figura emblematica è quella
dell’araldo, ufficiale della Repubblica, messaggero delle cerimonie
urbane, ma anche autore-attore di un teatro ancora informe fatto di
cantari. Uno degli esponenti più importanti fiorentini dell’epoca è Giorgio
Vasari, che opera nelle cosiddette compagnie di piacere: sodalizi che
riuniscono artigiani, artisti, ricchi popolani ed esponenti politici.
Tra la metà del ‘500 e la metà del ‘700 si sviluppa a partire dal teatro
italiano e poi in tutta Europa, la commedia dell’arte, così chiamata perché
vi recitano artisti di professione (la parola “arte” viene utilizzata nel senso
di “mestiere”). Essa si basa sulla centralità degli attori, particolarmente
bravi e apprezzati dal pubblico. Gli attori recitavano tramite un
canovaccio, spesso improvvisando. Una delle novità rappresentative
sono le maschere attraverso i quali vengono portati per la prima volta in
scena personaggi come Pantalone, il Dottor Graziano, il servo sciocco
Arlecchino, il servo astuto Brighella. Per accentuare la provenienza del
personaggio e aumentarne la caratterizzazione gli attori si servono di una
forte cadenza dialettale. Si tratta di un teatro tradizionale: l’attore infatti
recita all’estero con la stessa cadenza dialettale che usa in Italia.
Finalmente con la commedia dell’arte le donne iniziano ad essere
considerate al pari degli uomini e a recitare. Le compagnie teatrali erano
formate da un gruppo di 8/10 attori che stavano insieme per anni o anche
per la vita intera (la cosiddetta trasmissione familiare). La Chiesa continua
a mostrare il suo dissenso nei confronti di questa microsocietà di attori
che si andava formando.
Tra il ‘500 e il ‘600, in Inghilterra, domina la grande scena Elisabettiana.
Qui, il teatro prosegue la tradizione medievale, seppur con una mentalità
moderna. Vi è un pubblico di spettatori paganti, interclassista. I primi
edifici teatrali sorgono sulla riva del Tamigi, dove si trovano anche bordelli
e arene di combattimento per gli animali: elementi che insistono
sull’immancabile avversione religiosa nei confronti del teatro. In Inghilterra
i ruoli femminili sono ancora recitati da uomini, bisognerà aspettare il
ritorno del re Carlo II, grande amante del teatro. I teatri hanno forma
circolare, a cielo aperto; il palcoscenico si protende dentro la platea e gli
spettatori circondano gli attori. Un teatro scenograficamente spoglio, con
qualche scritta o simbolo per evocare il tipo di ambientazione, e
sfruttamento della luce diurna. Il più grande rappresentante del teatro
rinascimentale inglese è William Shakespeare, attore, manager di
compagnia e, autore sublime di innumerevoli testi, recitati tutt’oggi in tutto
il mondo. Di pari passo con il teatro elisabettiano, va
sviluppandosi anche la scena spagnola. Entrambi hanno in comune la
matrice della scena medievale. Inoltre il teatro spagnolo dell’epoca preme
su una forte valenza religiosa, e il processo della professione dell’attore
viene incrementato dalla presenza di molti comici della commedia
dell’arte provenienti dall’Italia. Dall’Italia infatti
provengono flussi ininterrotti di comici che a Parigi recitano in italiano in
una sala vicino al Louvre: la Francia diviene la seconda patria della
commedia dell’arte. Il ‘600 viene nominato le Grand Siécle, in cui è
principalmente l’aristocrazia a servirsi del teatro come arma ideologica
per celebrare i valori della propria superiorità di classe. Artisti come Pierre
Corneille o Jeanne Racine dominano la scena dell’epoca. Quest’ultimo si
colloca sul piano tragico, per la sua particolarità di “scavare” nella psiche
dei personaggi. Si concentra in particolare sul dramma dei figli degli eroi,
sempre costretti a confrontarsi con modelli insuperabili e da cui deriva
una fragilità psicologica un po’ patetica e disarmante. Il Seicento è l’epoca
d’oro del teatro moderno, in cui dominano tragedia e commedia, fino al
primo Ottocento, con l’inizio dell’età romantica.
Verso la metà del ‘700, non mancano coloro che si oppongono al nuovo
teatro. Da una parte l’ala conservatrice della borghesia lo teme, perché lo
vede come un piacere cortigiano e un giocattolo nelle mani
dell’aristocrazia. Dall’altra parte esiste una parte lieta di condividere con i
nobili il culto della scena. Si consolida in questi anni un elemento
fondamentale per lo sviluppo del teatro: la critica, che attribuisce sempre
più importanza a questa nuova forma professionale. Il giornale più
famoso e venduto tra il 1711 e il 1714 è “The Spectator” ; si perdono le certezze dell’antica separazione degli stili, in quanto
esistono commedie con accenti tragici e tragedie con accenti comici.
Nel ‘700 in Italia, Carlo Goldoni (uno dei primi a guadagnarsi l’esistenza
con la professione dell’attore) attua una fondamentale riforma del teatro
comico, abolendo l’uso del canovaccio e proponendo agli artisti un testo
scritto cui attenersi nella recitazione. Con lui la commedia si libera dai
vincoli della tradizione. Il Romanticismo tedesco
prende come riferimento il teatro di Shakespeare, pronto a mescolare
tragico e comico, ma ribadendo la centralità della tragedia come
espressione dell’io in rivolta contro la realtà esistente. Il Romanticismo
francese si sviluppa tardi e con vita breve: tratta del dissidio tra poeta e
società capitalista, sul potere che uccide la fantasia e l’intelligenza, sulla
condizione borghese analizzando le situazioni familiari e le tensioni
adulterine della vita di coppia.
Negli ultimi decenni dell’’800 si crea un divario all’interno della borghesia
in cui si contrappone il divertimento e lo svago da una parte e l’istruzione
e la riflessione culturale dall’altra. Il numero crescente della popolazione
urbana dell’occidente inoltre, fa sì che gli edifici teatrali si moltiplichino.
Da questo momento in poi, la distinzione tra i vari generi incomincia a
farsi ancora più sfumata: mentre la tragedia, perde in buona parte la sua
vitalità, il teatro comico cerca nuove forme recitative che in buona parte
confluiscono nel cosiddetto dramma moderno o dramma borghese, nato
in Francia verso la metà del Settecento e sviluppatosi poi in tutto il resto
d’Europa (Goldoni fu uno dei precursori del genere). Il dramma moderno
si propone di rappresentare la vita quotidiana della gente comune e non
quella di personaggi straordinari. In particolare, il mondo rappresentato è
quello della borghesia, la classe dominante dell’Ottocento. Si affrontano
temi etici, sociali e politici come la condizione femminile, la decadenza
della nobiltà, il conflitto tra i sentimenti e le convenzioni sociali, le tensioni
all’interno della famiglia, gli scontri fra classi borghesi e proletariato, ecc.
Rispetto alla tragedia e alla commedia, esso propone situazioni
caratterizzate da conflitti non ridicoli (come nel caso della commedia) e
non irrisolvibili (come nel caso della tragedia); è una sorta di genere
problematico che chiede agli spettatori di prendere posizione rispetto ai
temi affrontati o di esprimere un giudizio. E’ un genere che mette in scena
la contemporaneità. Anche i canoni della commedia andavano
rinnovandosi. A Parigi, si forma una particolare forma di teatro: il caféchantant o café-concert, in cui i consumatori assistono ad esibizioni di
canto e musica. Ad esso si affiancano figure come comici, danzatori,
acrobati, giocolieri, performers. Insomma uno spettacolo di vari numeri
che viene infatti chiamato teatro del varietà. A dominare è la logica del
visuale, del piacere all’occhio. Infatti le sale sono ricche di decori e
scenografie con effetti impressionanti. Nell’’800, le compagnie teatrali
italiane risultano basate su un organico di ruoli che prevedono una
gerarchia per quanto riguarda i ruoli da interpretare. Dal punto di vista
economico, la compagnia è generalmente di proprietà del capocomico,
che assume funzioni impresarie e registiche: stipula contratti con gli attori,
distribuisce le parti, dirige le prove, allestisce la scenografia.
L’illuminazione dello spettacolo è ancora un’illuminazione fissa, non
simbolica. Tre tipi di compagnie sono essenzialmente comuni: le
compagnie primarie (percorrevano le capitali e le città di provincia più
prestigiose); le compagnie secondarie (si limitano alle città meno
importanti della provincia e ai paesi); le compagnie di terz’ordine (recitano
nei paesini più sperduti). Via via il teatro ottocentesco diviene sempre di
più un teatro cosiddetto “del regista”. Ne sono un esempio le compagnie
di Meininger, di Antoine o il teatro di Stanislasvskij .
Quest’ultimo rifiuta le gerarchie delle parti e preferisce lavorare con attori
dilettanti perché non condizionati dai “tic” del mestiere: è preferibile un
attore immaturo ma con una grande sete di apprendere e migliorarsi. La
sua carriera si divide in due periodi di pensiero contrapposti. Il primo
periodo è quello definito despota (attenzione per la condizione esterna
dell’attore in scena affinchè reciti secondo la volontà del regista). E’
intorno agli anni ’20 che Stanslavskij elabora il celebre metodo che
prevede la convinzione che una partecipazione emotiva da parte dello
spettatore possa avvenire solo se l’attore è completamente calato e
immedesimato sentimentalmente nella parte. Convinzione che ribalterà
nel secondo periodo, in cui il regista non vuole imporsi più sull’attore, ma
lavora sulla sua psicologia eseguendo un lavoro di collaborazione e
riflessione.
Il primo novecento è il periodo delle avanguardie storiche. Filippo
Tommaso Marinetti non solo è l’autore del Manifesto del futurismo, del
Manifesto dei drammaturgi futuristi, ma anche del teatro del varietà, nel
1913. Ciò che emerge è la rottura della barriera tra palcoscenico e platea:
l’attore diviene abile nel coinvolgere il pubblico. In ambito teatrale, il
Dadaismo attira pubblico: sono organizzate serate dadaiste che
consistono in spettacoli di varietà a cui gli spettatori partecipano
lanciando ortaggi, uova, monetine, ecc. Con il dadaismo viene anche
meno la fiducia sulla funzione positiva che l’arte e la cultura possono
esercitare sulla vita quotidiana. In Italia, dal 1932 si inizia a parlare di
regia con Silvio D’Amico; prima una “ufficiale” figura di questo tipo non
esisteva. Questo ritardo è dovuto alle ostilità degli attori, i quali non
volevano rinunciare al loro ruolo di rilievo in favore di qualcuno che poteva controllarli. Nel 1935, D’Amico, ottiene l’approvazione per fondare
l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, luogo in cui l’attore può
essere formato. Egli sostiene che il regista, per affermarsi, ha bisogno di
attori disciplinati ed educati, che soltanto la scuola può forgiare. Contemporaneamente alle avanguardie, sempre in
Italia, Luigi Pirandello, è l’autore che meglio riesce a rinnovare dall’interno
il dramma borghese. Infatti, egli mette in scena personaggi tipici del
genere, ma la tematica portante dei suoi drammi è di tipo esistenziale più
che sociale: Pirandello analizza il conflitto che esiste fra la spontaneità
vitale dell’uomo e la sua costrizione entro regole sociali che lo
trasformano in una “marionetta” in balia della sorte. La vita diventa così
una finzione, la recita di una parte convenzionale come una maschera
che nasconde il volto di ogni persona. Nelle sue opere, spesso utilizza la
tecnica del “teatro nel teatro”, che consiste nel mettere in scena un
gruppo di attori che mettono in scena uno spettacolo teatrale e il pubblico
assiste ad una finzione che si fa davanti ai suoi occhi. Un altro grande rinnovatore del teatro del
novecento è Bertolt Brecht che, come gli autori dei drammi borghesi,
affronta nelle sue opere problemi sociali legati alla realtà del suo tempo,
e, il cui teatro, si contrappone alla tradizione ottocentesca segnando una
frattura definitiva. Il suo teatro, (la cui linea di pensiero si contrappone a
quella iniziale di Stanislavskij citata sopra) contesta l’idea
dell’immedesimazione dell’attore nel personaggio. Sostiene che se
l’attore si immedesima, anche lo spettatore farebbe lo stesso. Occorre
perciò che l’attore conservi un margine di distacco rispetto al
personaggio, la cosiddetta tecnica dello straniamento. Per aumentare
questa sensazione di distacco ed alimentare nello spettatore la
consapevolezza di essere a teatro e impedirgli l’illusione, sfrutta l’uso di
musica, cartelli, proiezioni e luci .
Per poter parlare di teatro contemporaneo, bisogna arrivare agli anni del
secondo dopoguerra. In questo periodo, si afferma in vari paesi europei
una corrente filosofica che prende il nome di Esistenzialismo, i cui
esponenti pongono al centro della loro analisi la condizione umana,
caratterizzata dal fatto di essere assurda: la vita, secondo loro, è priva di
significato, a meno che noi stessi non gliene attribuiamo uno. Da questa
corrente si viene a creare un nuovo movimento di avanguardia: il teatro
dell’assurdo. Esso si sofferma sui grandi temi esistenziali, come la falsità
dei rapporti sociali, la solitudine, l’incomunicabilità, l’insensatezza del
vivere, collocando i personaggi delle storie in situazioni e contesti
fantastici, affidando loro battute prive di senso. Samuel Beckett è uno dei
rappresentanti principali, ricordato in particolare per il celebre Waiting for
Godot. Pur costituendo una grande novità, il teatro dell’assurdo, conserva
un aspetto fondamentale del teatro ottocentesco: la preminenza della
parola sugli altri aspetti della comunicazione teatrale. Negli stessi anni, il
teatro “tradizionale” gode di una nuova vitalità. In Italia va ricordato
almeno il nome di Eduardo De Filippo, autore fra gli anni Trenta e gli anni
Settanta di numerose commedie in dialetto napoletano, che ritraggono la
realtà della città in tutte le sue fasce sociali, dalla borghesia alle classi
popolari, e sono animate da una forte carica etica. Il teatro di rivista (sorto
in Francia verso la metà dell’Ottocento) è ancora molto apprezzato: nei
primi venti anni del Novecento è uno spettacolo parodistico d’attualità, il
cui successo dipende soprattutto dall’efficienza del copione; negli anni del
fascismo, quando viene vietata ogni possibilità di satira politica, si afferma
una comicità più astratta, affidata all’estro dell’attore più che alle battute
del testo; nel primo decennio del secondo dopoguerra, dopo un fugace
ritorno alla satira politica, s’impone una versione all’italiana della rivista “à
grand spectacle” (che aveva già avuto un’anticipazione con gli spettacoli
di Anna Fougez, negli anni Venti), con allestimenti sfarzosi, parate di belle
ragazze, coreografie, canzoni e attrazioni di vario genere, ma con una
preponderanza del comico. La soubrette principale dell’epoca è Wanda
Osiris, tra i grandi comici troviamo Totò, Walter Chiari, Renato Rascel e
molti altri. Verso gli anni ’50, la rivista diventa uno dei generi più popolari
della televisione italiana. E’ un genere “apparentato” con il cabaret,
perché accentrata sulle invenzioni del copione, affidate ad un numero
ristretto di interpreti . A partire
dagli anni Sessanta, si sviluppa un teatro di ricerca che parte da aspetti
quali il movimento, la danza, il corpo, la musica, la luce ecc. Queste
sperimentazioni assumono spesso un carattere critico nei confronti della
società. Troviamo sotto questo genere:
il teatro dell’happening (teatro “avvenimento”), un tipo di spettacolo
che rifiutava l’idea di palcoscenico, in quanto qualsiasi posti come studi,
soffitte, aule, negozi sono adatti (un po’ come il flash mob), che coinvolge
attivamente il pubblico nello spettacolo. Nel 1959 a New York, venne
presentato il primo happening .
Il teatro performance (teatro “esibizione”), in cui viene meno il ruolo
primario della parola per dare spazio al linguaggio del corpo e della
gestualità .
Il teatro underground (teatro “sotterrato”) che rifiuta il carattere
commerciale degli spettacoli teatrali organizzando al di fuori dei grandi
circuiti istituzionali, in cantine, garage, magazzini, per strada, o perché no,
in museo.
ll più importante drammaturgo italiano dopo Pirandello può essere
considerato Dario Fo
, un grande attore che richiama la tradizione della
Commedia dell’Arte, con le sue maschere, la sua capacità di
improvvisazione, l’uso espressivo del dialetto. A questa tradizione, Fo
imprime un significato nuovo: la figura del “giullare” non è più quella di un
semplice intrattenitore, ma quella di chi porta sulla scena un punto di vista
alternativo a quello ufficiale, facendo emergere attraverso la satira e il riso
tutte le storture e le ipocrisie del potere della classe dominante. Fo
rivitalizza la tradizione del teatro popolare e di strada ed è anche uno dei
maestri del cosiddetto teatro di narrazione (che racconta una vicenda in
cui è lo stesso protagonista a interpretare i vari personaggi, la loro voce, i
loro gesti, ecc), attingendo anche alla struttura del grammelot. In America,
Brodway inizia ad essere il centro assoluto della vita teatrale, la cui
centralizzazione segna anche la ristrutturazione degli edifici teatrali.
Gli spettacoli vengono preparati a Brodway e poi mandati in tournée nei vari
teatri. La forma teatrale prediletta americana, e in particolare a Brodway è
il musical comedy (commedia musicale o semplicemente musical),
genere teatrale anglosassone sorto a Londra e a New York verso la fine
del XIX secolo nel quale, su una trama più o meno solida, s’inseriscono
canzoni, balletti e brani musicali. L’avanguardia teatrale americana degli anni ’60 è
ricordata soprattutto per il Living Theatre, un movimento artistico fondato
nel 1947 da Julian Beck e Judith Malina, i cui esponenti proponevano di
cambiare il linguaggio e il concetto stesso di teatro. Questi artisti agiscono
e recitano tramite delle “performances” o “events” o “happenings”. Nello
stesso anno Grotovski fonda il suo Teatro laboratorio, partendo da una
riflessione sulla progressiva perdita di identità del teatro rispetto al
dispiegarsi del potere del cinema e della televisione, e sostenendo che il
teatro abbia qualcosa in più di tali strumenti: la presenza vera dell’attore.
Da qui ne consegue un’idea di teatro come esperienza di vita. Nascono, sul finire del novecento, centinaia di teatrini e piccole
compagnie giovanili in cerca di un’occupazione, mentre nei teatri “ufficiali”
troviamo l’intervento di personaggi come Strehler e Ronconi. Milano vanta
le due principali entità teatrali italiani, il Teatro alla Scala per la lirica e il
Piccolo Teatro per la prosa. In cerca del rapporto tra teatralità e struttura
urbana, anche registi affermati hanno cercato di individuare alternative
agli edifici teatrali per alcuni elementi. Per esempio, Luca Ronconi, ha
riscoperto come luoghi teatrali aree improbabili (il Lingotto di Torino) o le
grandi piazze urbane (piazza del Duomo a Milano). Giorgio Strehler ha
realizzato una strepitosa edizione del suo Arlecchino nella villa comunale
di via Palestro a Milano. Si tratta, non a caso, di episodi che hanno
restituito la più alta dignità artistica a forme trascurate o non più valutate. Gli anni ottanta vedono in Europa la rinascita del
fenomeno del “teatro urbano”, che consiste in manifestazioni ed eventi
teatrali con scenografie architettoniche della città: la cosiddetta “messa in
scena urbana”.
4.3. L’arte dell’attore
Attore è chi rappresenta o interpreta una parte o un ruolo in uno spettacolo
teatrale, cinematografico, televisivo, radiofonico o di strada.
L’attore è l’interprete di un’azione drammatica rappresentata scenicamente:
prosa, tragedia, commedia e dramma, varietà, radio, televisione, cinema.
Il termine deriva dal latino actor, ossia “colui che agisce”, anche se in
principio, etimologicamente, il termine si riferiva al sostantivo del verbo latino
ago-actum-agere, il cui significato prioritario è “condurre”; dunque, l’attore è
“colui che conduce”, cioè che porta avanti l’intreccio. In greco, “hypocritès”
significa originariamente “colui che finge”, ma anche “colui che interpreta”.
Il destino di questa parola, in nessuna lingua moderna accolta con il denotato
di “attore”, indica semplicemente “chi dice bugie”, ma colui che finge di
provare sentimenti, emozioni, passioni che in effetti non prova. “Per alcuni è
il vero attore che recita nella vita” (Molinari, 1992, pag. 18). Nel passato, il
termine attore era riservato agli uomini. Le donne iniziarono a recitare solo
nel XVII secolo, e allora si iniziò ad usare il termine attrice. Actor tuttavia non
è la parola più usata per indicare l’attore. Cicerone, preferisce, di norma, altre
espressioni, tra cui una in particolare, probabilmente di origine etrusca:
histrio. Altra connotazione di chi recitava era quella di “comico”. I comici,
erano gli interpreti dell’arte drammatica; anche se il loro nome appare legato
solo alla commedia, essi si cimentavano con tutti i generi della
drammaturgia. Nel settecento la parola attore comincia a riproporsi con
Goldoni, ma si affermerà in modo definitivo nel XX secolo.
Il verbo denotante il recitare copre un’area semantica che corrisponde a
quella del tedesco spielen (giocare, suonare, recitare) e dell’inglese to play
(giocare). Tale concetto rimanda a quello della burla o della beffa con i giullari del medioevo. L’antropologia teatrale vuole studiare le regole di
comportamento di questa professione, in particolare, “studia il
comportamento fisiologico e socio-culturale dell’uomo in una situazione di
rappresentazione”. Vi sono alcune sfumature
fra il termine attore e altri campi, che, a prima vista, non hanno niente a che
fare con il teatro. Un primo accostamento per esempio viene fatto tra attori e
atleti: non a caso gli storici del Medioevo sono soliti classificare come
“spettacoli” le giostre e i tornei. Certo spettacoli, ma non teatro. Eppure,
sempre nel Medioevo, “gli atleti di queste manifestazioni sportive assumono
una parte drammatica, e raccontano una storia di cui la singolare tenzone
rappresenta lo scioglimento. E a proposito di una partita di calcio, se non si
parla di ‘attori’, si impiega un altro termine squisitamente teatrale: chi fa il
terzino, il libero o la punta interpreta un ruolo”. Come il
terzino di una squadra di calcio, ciascuno di noi, nella vita di tutti i giorni, è
chiamato ad interpretare un ruolo di carattere generale che spesso cambiano
nel corso di una stessa giornata: la persona che gioca il ruolo dell’insegnante
a scuola, mentre a casa quello del padre di famiglia.
L’attore è certamente l’interprete dei sentimenti, delle passioni e degli stati
d’animo di un personaggio. Questo avviene attraverso elementi come il
gesto, l’azione, il camminare, l’espressione del viso, la pantomima
(eloquenza muta dei movimenti), la sua energia, il suo equilibrio. L’energia etimologicamente essa significa essere in opera, in lavoro.
Chi traducesse in una lingua europea i princìpi dell’attore userebbe parole
come “energia”, “vita”, “forza”, “spirito”, per tradurre termini come i giapponesi
ki-ai, kokoro, io-in, koshi; i balinesi taksu, virasa, chikara; il cinese kung-fu,
shun toeng; gli indiani prana, shakti. La vita dell’attore si basa sull’alterazione
dell’ equilibrio. Si parla di equilibrio extra-quotidiano,
perché l’attore, appunto, durante le rappresentazioni teatrali può assumere
posizioni con il corpo diverse da quelle quotidiane, per interpretare un
personaggio. E’ una caratteristica che riguarda soprattutto mimi e danzatori.
Secondo P.Hamon, nella narrativa il personaggio si riferisce alla sommatoria
delle funzioni e delle qualificazioni che gli sono attribuite e che sono
raggruppate sotto una data denominazione. Nella scrittura drammaturgica, il
personaggio è “la sommatoria delle battute attribuite ad un dato nome, delle
azioni che le didascalie gli assegnano, delle descrizioni che sia di
comportamenti che di qualità reperibili nelle stesse didascalie come nelle
battute”. L’attore, come è chiamato a costruire la
personalità e la storia del personaggio, così dovrà fare per costruire il suo
aspetto fisico (attraverso trucco, costumi, maschere, ecc.).
. Il “teatro dei ruoli” subentra a quello delle maschere tra la fine del Settecento e
l’inizio dell’Ottocento. L’attore cominciò a guardare
alle parti come a tanti caratteri facili da riprodurre con pose, intonazioni e
controscene simili, ma al tempo stesso scaturendo una diversità fra loro. Si
interpretavano le varie parti basandosi su un modulo di tre elementi: il ruolo
assunto, il tipo di parte e il carattere della parte.
Così, nell’Ottocento, le compagnie teatrali risultavano basate su un organico
di ruoli che prevedeva:
Primo attore/Prima attrice: il ruolo di maggiore importanza sul piano
gerarchico. Sono coloro che hanno diritto di scelta prioritaria sulle varie parti.
Il primo attore deve essere fisicamente un bell’uomo, imponente, con una
voce potente; la prima attrice una figura maestosa con voce pulita.
Brillante: rappresenta una nota più leggera nei testi seri ed è determinante
nei testi comici. Nel teatro del primo ‘900 raffina il suo ruolo fino a risolversi
nella figura del raisonneur, ironico, sottile e spesso portavoce dell’autore.
Caratterista: legato ai personaggi di carattere della drammaturgia molieriana
(da Molière) e goldoniana (da Goldoni).
Attore giovane/ attrice giovane: personaggi di giovane età, spesso ruoli
cinquecenteschi degli innamorati.
Seconda donna: interpreta il personaggio rivale della prima donna.
Promiscuo: ruolo capace di consentire il passaggio da personaggi patetici a
personaggi comici. Si tratta di un ruolo minore ma di grande importanza
(Eduardo De Filippo è stato il primo grande promiscuo).
I ruoli non sono categorie fisse: l’attore giovane è destinato a diventare con
l’età primo attore, mentre il primo attore può diventare caratterista
invecchiando.
Concludendo, l’arte dell’attore consisterebbe nel dare suono alla voce del
poeta, nel dare corpo ad un personaggio, illustrarne il suo significato
profondo, rivivere sentimenti altrui, esprimere creativamente la propria vita
interiore.
Anche se le origini del teatro sono state riconosciute da Aristotele nei
villaggi, il teatro è sempre stato legato alla città nella memoria dei greci. Una
volta entrate in città, le rappresentazioni drammatiche (prima quella tragica
precisamente nel 534 a. C. poi quella comica circa cinquant’anni più tardi)
s’inseriscono subito nei rituali più importanti della polis. Nella città la recita
viene ben presto istituzionalizzata. Il teatro è un luogo di festa, e viene
montato e smontato nell’agora. Dapprima costruito in legno, poi sostituito nel
quarto secolo con la pietra. Il carattere pubblico della rappresentazione
drammatica risulta anche nella considerazione degli spettatori. Tutta la città
si riuniva per il teatro ateniese. Ogni attività politica e amministrativa veniva
sospesa addirittura per l’importanza degli eventi. Una considerevole massa
di contadini, alcuni meteci residenti in Atene o al Pireo, donne, schiavi e altri
ospiti occasionali erano i principali spettatori. La partecipazione alla recita
inoltre era risarcita sul campo del lavoro. I cittadini venivano comunque
compensati per l’assenza così come lo era il cittadino coreuta per il suo
canto e per la sua danza. Tra le prime rappresentazioni ricorrenti del periodo
vi erano i giorni di festa dedicate a Dioniso, le cosiddette Grandi Dionisie, in
cui vi era una sorta di gara dei cori ditirambici effettuata da diverse tribù
partecipanti. Il sistema di sorteggio era accompagnato dal giudizio finale
della città.
Roma è stata la grande del città del teatro: gigantesche sale che
accoglievano ventimila spettatori infatuati dall’eccentricità degli attori,
creazione di nuove forme teatrali, molteplicità di rappresentazioni. I Gladiatori
dell’anfiteatro e le varie rappresentazioni circensi fanno parte del grande
immaginario collettivo contribuito dai clichès della televisione e dei mass
media nei secoli moderni. Ma la cultura romana ha visto molto di più. Certo i
Romani amavano il gioco e il divertimento, erano interessati alle corse di
carri, dove si scommetteva sui vincitori o i giochi del circo, ma il teatro, ha
sempre mantenuto il suo significato originale, una volta mischiatosi con la
cultura romana. Perché esso infatti è nato con il risultato di tre culture
diverse: quella greca, quella etrusca e quella romana.
‘’Il teatro conserva la memoria di ciò che i cristiani chiamano paganesimo,
che non è né una fede né una religione, ma il fantasma culturalmente
efficace di una continuità, attraverso la mitologia, tra la Grecia e Roma e che
serve da fondamento dell’Impero e da sua legittimazione’’. Questa concezione contribuì l’accanimento dei predicatori cristiani
“costretti” a schierarsi o dalla parte della fede o dalla parte del palcoscenico.
Sant’Agostino infatti sosteneva chiaramente che il Romano pagano era un
spettatore e il Romano cristiano ascoltava solo la parola di Dio. La grandezza
di Roma risiede nella capacità di rappresentare una civiltà nella quale la
percezione teatrale non è circoscritta al palcoscenico. Tutto può diventare
teatro: le udienze di un processo, l’esecuzione di un criminale, le lotte della
guerra civile. Questo è possibile proprio perché il teatro non è la
rappresentazione del reale, ma uno sguardo diverso posato sulla realtà.
Le rappresentazioni sceniche prevedevano mimi, pantomime, scene
mitologiche, tragedie e commedie. E per tutta la durata della civiltà romana, il
tempo speso a teatro dai cittadini, e il loro livello di partecipazione collettiva
era notevole.
Nell’ambito delle feste civiche, la città diviene lo scenario attraverso il quale
essa viene mostrata in tutta la sua bellezza e la sua potenza. Rituale era la
processione del trionfo, una vera e propria sfilata dei senatori, i magistrati, i
re prigionieri e via dicendo. La processione-esibizione più diffusa però era
ancora un’altra: la pompa. Si trattava di una pratica rituale dei giochi solenni
che chiudono la guerra, i cosiddetti Ludi Romani e consisteva in un percorso
attorno all’Urbs (lo spazio urbano che divide e unisce luoghi e persone). Altre
processioni ricorrenti intese come feste collettive erano le processioni
funebri. Degli istrioni vestiti con una toga (se si trattava di un censore) o di un
mantello dorato (se il morto aveva ottenuto il trionfo) portavano delle
maschere funebri e attraversavano la città sopra dei carri accompagnati dalla
musica dei flauti, arrivando fino al foro. L’azione del popolo è collettiva,
ascolta l’elogio del parente vicino al defunto e si raccoglie intorno ad esso.
Lo stesso Marco Antonio inventò per i funerali di Giulio Cesare, una
macchina in grado di muovere a piacimento il cadavere del dittatore, per
mostrare al popolo le ventitré ferite provocate dai colpi di pugnale. Una
messa in scena decisamente efficace, più di quanto non lo sarebbe stata con
il celebre monologo dell’autore inglese William Shakespeare. La
spettacolarità è quindi onnipresente a Roma, sia attraverso la vita pubblica
che quella privata .
Cicerone fa un’importante distinzione tra i giochi scenici e i giochi del circo.
Egli argomenta e spiega che nel “De Legibus” che nel circo si trovano le
corse a piedi, la lotta, le corse di carri, il pugilato, mentre in teatro si
ascoltano canti, musica strumentale e vocale. I teatri si sovrapporranno ai
luoghi pre-esistenti e fanno il loro ingresso nella storia nel 55 a.C. Il nome
circus si riferisce alla forma ad anello che intraprendono le piste per le corse
di carri. La scena era una baracca di legno davanti alla quale recitavano gli
istrioni. Il circo era uno spazio chiuso in cui non avveniva niente che non
derivava dal motivo per il quale era stato fatto; il teatro invece era uno spazio
aperto. Il circo del I secolo inizia a diventare sempre di più la
rappresentazione dello spettacolo dell’esotismo. Leoni, elefanti, coccodrilli,
sono esibiti ed ammazzati insieme a orsi, tori, cinghiali, e coincideranno, anni
più tardi, con l’inserimento dei combattimenti dei gladiatori nei giochi.
In teatro sono i mostri mitologici ad essere rievocati.
Il turismo, inteso come un periodo di tempo trascorso da uno o più individui al
di fuori della propria usuale abitazione è proprio come uno spettacolo: inizia e
finisce, ha un suo trascorrere, una sua vicenda in mezzo a cui si incontrano
vari personaggi, si conoscono nuovi luoghi, si è trasportati in una dimensione
insolita da quella abitudinaria.
Uno spettacolo al quale si può assistere e partecipare allo stesso tempo.
Stage in azienda: che cos’è?
Lo stage in azienda, anche detto tirocinio, è un periodo di formazione professionale che fornisce al tirocinante l’opportunità di maturare esperienza in ambito lavorativo e aziendale.
Mediante il tirocinio in azienda, lo stagista acquisisce professionalità affrontando una formazione pratica che i percorsi di studio, normalmente incentrati sulle nozioni teoriche, non offrono. Inoltre, lo stage in azienda si rivela molto utile agli stagisti per verificare sul campo le proprie competenze e definire se sia l’ambito di lavoro adatto alle proprie esigenze.
Quali sono le tipologie di stage in azienda?
Innanzitutto un tirocinio in azienda può essere svolto durante un percorso di studi, per ottenere crediti formativi funzionali al raggiungimento del titolo di studi (curriculare), oppure a completamento dell’iter formativo, dopo il diploma o la laurea (extra-curriculare).
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- Stage curriculare:
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periodo di formazione in azienda che si rivolge agli studenti iscritti regolarmente a un corso di studi (presso una scuola secondaria di secondo grado o un ateneo universitario).
La retribuzione non è in questo caso obbligatoria, ma prevede l’ottenimento di crediti formativi e deve essere svolto obbligatoriamente dallo studente per portare a termine il percorso didattico. L’obiettivo dello stage curriculare è un approfondimento del processo di formazione, attraverso l’alternanza scuola-lavoro.
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- Stage extracurriculare:
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periodo di formazione pratica in azienda, che si colloca generalmente nella fase di transizione tra studio e lavoro, o in ogni caso esterno a un percorso di studi. Prevede una retribuzione minima obbligatoria, stabilita in base alla normativa regionale di riferimento.
Quali requisiti deve avere uno stagista?
Non esiste, secondo la normativa vigente, un limite di età entro cui un candidato possa svolgere uno stage in azienda. Tuttavia, fanno testo i termini di decorrenza del percorso di studi del tirocinante:
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- Nel caso in cui si tratti di un tirocinio formativo curriculare, lo stagista deve essere regolarmente iscritto a un percorso di studi.
- Se si tratta di un tirocinio extracurriculare, in linea generale e salvo casi specifici, sarà necessaria una DID convalidata o un documento valido rilasciato dal Centro per l’Impiego che attesti la disoccupazione del tirocinante.
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Cos’è un ente promotore?
L’ente promotore è una figura essenziale nell’attivazione di tirocini. Ha la responsabilità di sottoscrivere il contratto di stage, che altrimenti, senza la sua firma, non avrebbe valore.
Secondo la normativa, infatti, gli stage in azienda devono essere promossi da un soggetto terzo, per l’appunto l’ente promotore, che costituisce un punto di riferimento sia per l’azienda che per lo stagista, svolgendo inoltre un’attività di monitoraggio sulla conformità del processo.
Per poter operare nell’attivazione di tirocini, l’ente promotore deve essere accreditato presso il Ministero del Lavoro, e/o avere un accreditamento regionale o un’autorizzazione ad attivare stage nella regione di riferimento dell’azienda.
Per quanto riguarda gli stage extracurriculari, l’ente promotore può essere un’Agenzia per il Lavoro accreditata dal Ministero del Lavoro, che operi a livello regionale o nazionale.
Per gli stage curriculari, invece, l’ente promotore è solitamente un’istituzione scolastica, un’università o un ente di formazione accreditato dalla Regione di riferimento.
Ecco i compiti specifici dell’ente promotore:
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- Stipula una convenzione con l’azienda, controllando che al suo interno siano contenuti i dati legali di azienda ed ente promotore, nonché gli aspetti normativi che regolano il contratto.
- Redige un progetto formativo che riporta obiettivi e modalità di svolgimento dello stage, oltre ai dati anagrafici dello stagista e alle informazioni sul suo percorso.
- Verifica che l’azienda nomini un tutor con valenza formativa, che affianchi lo stagista passo per passo nel suo percorso di stage.
- Nomina un tutor con responsabilità di supervisione, che offra assistenza a stagista e azienda per tutto il periodo di durata dello stage.
- Assicura il tirocinante per la responsabilità civile (e, qualora previsto dagli accordi con l’azienda, contro gli infortuni sul lavoro).
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Come si attiva uno stage in azienda?
Per poter attivare un tirocinio in azienda è indispensabile l’interazione fra 3 soggetti:
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- lo stagista, o tirocinante
- il soggetto ospitante, vale a dire l’azienda
- l’ente promotore (terza parte che ha il compito di supervisionare il processo e garantirne il buon funzionamento; si occupa anche della gestione burocratica e amministrativa dell’attivazione)
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L’azienda e l’ente promotore sono tenuti entrambi a nominare un tutor. Il tutor indicato dall’ente promotore supervisiona il corretto svolgimento dello stage in azienda, mentre il tutor aziendale ricopre una vera e propria funzione formativa, affiancando lo stagista nel suo percorso di apprendimento.
Lo stage in azienda è disciplinato da un contratto di stage sottoscritto da tutte le tre parti e formulato in accordo con le specificità normative regionali. Una volta che il contratto è stato redatto e firmato, l’azienda ospitante deve comunicare alla Regione l’attivazione del tirocinio mediante una comunicazione obbligatoria telematica sui portali regionali.
Com’è formulato il contratto di stage?
Lo stage in azienda non costituisce un vero e proprio rapporto di lavoro, ma un percorso formativo con cui l’azienda ospitante offre a uno stagista l’opportunità di conoscere attivamente una professione e inserirsi nel mondo del lavoro.
Il contratto di stage è un documento formulato in due parti:
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- convenzione: stipulata dall’azienda ospitante con un ente promotore, contiene i dati legali relativi ai due soggetti e gli aspetti normativi che regolano il contratto di stage.
- progetto formativo individuale: contiene i dettagli relativi al percorso formativo dello stagista, ovvero i nominativi dei tre soggetti coinvolti (tirocinante, azienda, ente promotore), i nominativi dei tutor designati, data di inizio, durata, rimborso previsto, attività, sede e orari di svolgimento, obiettivi, eccetera.
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Occorre ricordare che i contratti di stage in azienda sono regolamentati da specifiche normative regionali, elaborate sulla base di alcune linee guida comuni a livello nazionale.
Altri documenti dello stage
Alcuni documenti, come il progetto formativo e la convenzione, devono essere redatti prima dell’avvio del precorso di formazione. Altri, invece, sono necessari per documentare le variazioni al percorso, attestarne lo svolgimento o i risultati.
La normativa di stage impone l’obbligo per l’azienda ospitante di restituire tutta la documentazione all’ente promotore, che a sua volta ha l’obbligo di conservarli.
Ecco i documenti più importanti, oltre a quelli già citati che costituiscono il contratto di stage:
- Proroga
Il documento di proroga deve essere redatto solo nel caso in cui il tirocinio venga prorogato, prolungandone la durata. Si tratta quindi di un documento opzionale, che al suo interno contiene i dettagli riguardanti l’estensione del percorso: nuova data di termine, motivazioni ed eventuali variazioni.
Come il progetto formativo, la proroga deve riportare la firma di azienda, tirocinante ed ente promotore.
- Registro presenze
Il registro presenze si utilizza per monitorare e annotare le attività del tirocinante e lo svolgimento dello stage. In seguito alla pubblicazione delle ultime linee guida nazionali, è stato reso obbligatorio in quasi tutte le regioni italiane.
Il registro presenze deve essere compilato quotidianamente, riportando al suo interno date, orari, attività e le firme del tirocinante e del tutor. Attestando il regolare svolgimento dello stage, si rivela uno strumento tutelante sia per l’azienda che per il tirocinante, in quanto può essere d’aiuto a entrambi per questioni assicurative o legali.
- Attestato di competenze
È l’unico documento che deve essere compilato al termine dello stage, poiché attesta i risultati raggiunti dal tirocinante durante il percorso di formazione in azienda.
Deve riportare le firme dell’ente promotore e dell’azienda e normalmente viene compilato dal tutor aziendale, che riporta al suo interno i dati del tirocinante, gli obiettivi, le attività, le competenze e i risultati raggiunti, un giudizio complessivo e un accenno all’eventuale assunzione del tirocinante dopo lo stage.
Quanti stagisti può ospitare un’azienda?
Considerato che lo stage in azienda deve essere inteso come strumento di formazione, non di sostituzione dei dipendenti, esistono alcune limitazioni al numero di stagisti per azienda.
Nello specifico, il numero di tirocinanti che un’azienda può ospitare è direttamente proporzionale al numero dei suoi dipendenti:
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- aziende con un numero di dipendenti da 1 a 5: solo 1 stagista
- aziende con dipendenti tra 6 e 19: fino a 2 stagisti
- aziende con più di 20 dipendenti: fino a un numero di stagisti non superiore al 10% dei dipendenti stessi.
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È importantissimo ricordare che, in virtù dell’obiettivo formativo dello stage, l’azienda deve nominare un tutor che assuma un ruolo di vero e proprio educatore e accompagni lo stagista nel suo percorso di apprendimento.
Inoltre, bisogna considerare che, anche in questo caso, esistono alcune variabili regionali.
Quali sono i diritti di uno stagista?
Come abbiamo già visto, lo stage non rientra contrattualmente tra i rapporti di lavoro e costituisce piuttosto un percorso formativo.
Il contratto di stage in azienda non prevede il versamento di contributi per la pensione, né la maturazione di permessi e ferie (che tuttavia, il più delle volte, vengono comunque riconosciuti al tirocinante dall’azienda). Esiste, invece, la possibilità di sospendere lo stage, in caso di grave malattia o maternità.
Il contratto di stage prevede, inoltre, che il tirocinante sia coperto da un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e per la responsabilità civile verso terzi (presso una compagnia assicuratrice). Le pratiche assicurative sono di competenza dell’ente promotore.
Quale deve essere la durata di uno stage in azienda?
Per quanto riguarda la durata minima dello stage in azienda, è prevista in quasi tutte le Regioni ed è pari a 2 mesi.
Per la durata massima dello stage in azienda le limitazioni variano da 6 a 12 mesi, a seconda delle normative regionali e della condizione del tirocinante (fino a 24 mesi per i diversamente abili).
Si può prorogare uno stage in azienda?
Uno stage in azienda si può prorogare.
Generalmente, il numero massimo di proroghe entro il quale il lo stage in azienda si può rinnovare è definito dai termini di durata massima dello stage. Tuttavia, il limite dipende, ancora una volta, dalle normative regionali.
Si può interrompere uno stage in azienda?
Uno stage in azienda si può sospendere o interrompere, a seconda delle casistiche:
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- Sospensione: avviene in concomitanza con ragioni legate all’organizzazione aziendale (ad esempio la chiusura per ferie), in caso di malattie gravi o maternità.
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In questo caso, è prevista la possibilità di recuperare il periodo di sospensione, per completare la durata complessiva dello stage in azienda.
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- Interruzione: determina la conclusione anticipata definitiva del tirocinio. Può essere richiesta da qualunque delle tre parti firmatarie della convenzione (soggetto ospitante, stagista, ente promotore).
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Qualora la decisione di recedere dal contratto di stage sia dell’azienda o dell’ente promotore, l’interruzione deve essere giustificata da motivi importanti e oggettivi. Una libertà maggiore è riconosciuta in questo caso allo stagista, che può interrompere il tirocinio in qualunque momento.
tesi finale di una nostra stagista del tirocinio presso la nostra azienda